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Salute: in Campania si muore di più ma l’algoritmo ci penalizza

I cittadini campani vivono di meno e emigrano per curarsi. L’ottavo rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale, smonta il sistema che basa la valutazione del funzionamento del Sistema sanitario regionale sui Livelli essenziali di assistenza (Lea). Se è vero che la Campania, è finalmente entrata tra le 13 regioni italiane che rispettano i Lea – insieme alla Puglia le le due regioni del Sud – la sua sanità purtroppo è lontana dal garantire il diritto alla salute. Infatti, in quanto territorio più giovane d’Italia, riceve la quota pro capite più bassa del fondo sanitario nazionale. Sul calcolo del riparto, pesando l’indice di vecchiaia, per ogni campano lo stato investe solo 2.185 euro in sanità, molto meno dei 2.216 spesi per un ligure, per fare un esempio. Una distribuzione evidentemente iniqua con diseguaglianze territoriali riprodotte da un algoritmo, che non tiene conto del dato sull’aspettativa di vita. In Campania questo è di 81,7 anni, la più bassa d’Italia e ben sotto la media nazionale (83,4). Aggiungiamoci quello della povertà diffusa, essendo la regione quella con il più alto numero di famiglie a rischio povertà (43,5%) e arriviamo all’amara verità: l’8,6% dei cittadini campani è costretto a rinunciare alle cure per motivi economici. Poi, ci sono quelli che vanno a curarsi fuori regione e, ogni volta la prestazione sanitaria deve essere rimborsata. Si attiva così un flusso di debiti che segue i pazienti emigranti. Un circolo vizioso nel quale la Campania ha il debito più alto a livello nazionale pari a 3,69 miliardi di euro che va rimborsato alle regioni del Nord capaci di attrarre i nostri pazienti e chiudere i bilanci con saldi positivi.